All’inizio era il caos

Gli esseri umani vivono in uno stato d’inconsapevolezza, raramente essi sono in grado di rispondere a domande quali: chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Che cosa ci sto a fare sul pianeta Terra? Qual è il senso della mia vita? Sono domande cui la maggioranza delle persone non risponde, oppure lo fa in modo approssimativo e sommario; in altri casi invece, costruiamo un universo di certezze, illuminato dalla luce della ragione, nell’illusione di aver trovato tutte le risposte: questi comportamenti sono espressione della follia.

Gli esseri umani agiscono in funzione di regole finalizzate alla realizzazione di comportamenti che sono considerati “normali”, poiché permettono di ottenere ciò che è buono, giusto, utile e necessario, secondo la maggioranza delle persone inserite nell'ambiente socio-culturale di un dato luogo in una determinata epoca. I comportamenti che si discostano da questa normalità sono definiti follia. Anche credere a questa normalità, alla ragione, alla spiegazione razionale delle cose, è pura follia poiché soltanto quattro certezze sostengono la realtà: la prima è data dal fatto che siamo nati, esistiamo e moriremo; la seconda è data dalla consapevolezza di essere avvolti dal mistero; la terza consiste nella consapevolezza d’essere colmi di limiti e potenzialità; la quarta riguarda la nostra solitudine di fronte all’universo.

L’Arcano senza numero

L’Arcano dei Tarocchi che rappresenta il Matto, nel suo aspetto sfavorevole indica colui che si muove in modo inconsapevole, dominato da impulsi cechi, dalla stravaganza, dalla sregolatezza incosciente, dalle false credenze, dagli istinti, dall’incostanza, dall’infantilismo, dall’insensatezza delle azioni.

Come non ravvisare in tutto ciò l’abituale comportamento della maggior parte degli esseri umani?

L’unica possibilità di mutare questo stato di cose è rappresentata dal Viaggio di Conoscenza, un viaggio attraverso la vita e all’interno di noi stessi. Chi desidera diventare consapevole e liberarsi dallo stato di follia in cui è calato diventerà un Viandante sulla via della Conoscenza.

Il Bagatto

La persona che prende coscienza della necessità di intraprendere il viaggio, come primo atto, deve procurarsi il bagaglio e gli strumenti necessari per compierlo.

L’acquisizione di questi strumenti lo pone nella condizione del Bagatto, l’Arcano numero uno dei Tarocchi. Questo personaggio è stato rappresentato in molti modi: il mago, il prestigiatore, il giocoliere, il ciabattino, l’artigiano, l’alchimista… In ogni caso rappresenta un individuo dotato di capacità, intelligenza e destrezza. Il Bagatto nella mano regge una bacchetta, di fronte a lui c’è un tavolo sul quale sono posti vari strumenti magici o di lavoro. Il tavolo mostra soltanto tre gambe, possiamo immaginare che la quarta esista fuori della Lama, ad indicare un’opera iniziata, ma non compiuta, una proiezione verso il futuro. L’Arcano numero uno è in grado d’avere accesso al raziocinio e all’intelletto umano e usa i suoi strumenti per plasmare la realtà che lo circonda. Esercitandosi nella sua attività di demiurgo il Bagatto acquisterà potere personale e diventerà sempre più potente.

Questo dono di potere è il primo alleato sulla via della conoscenza, ma è anche un nemico; infatti, se il viaggiatore si farà dominare dal ruolo demiurgico, rischierà di essere intrappolato nel materialismo, nell’apparenza delle cose, nell’agitazione vana; diventerà un manipolatore di coscienze, un arrampicatore, un illusionista; userà le cose, le persone e il mondo senza avere rispetto. Il Bagatto è tenuto a capire che il controllo sulla realtà è pura illusione, ha la necessità di comprendere che i suoi strumenti, per quanto raffinati siano, sono soltanto mezzi e non fini: il ricercatore di conoscenza sfiora la realtà e si rivolge all’universo con curiosità e rispetto. Se realizzerà queste consapevolezze il Viandante potrà proseguire il suo viaggio.

Il Tao

È necessario a questo punto inserire il concetto di Tao. Il Taoismo trae origine dagli insegnamenti di un grande filosofo cinese: Lao-Tzu, che la tradizione vuole contemporaneo di Confucio (VI-V sec. a.C.). Il Tao Teh-ching, in cui sono raccolti i pensieri e le massime di Lao-Tzu, costituisce, insieme agli scritti dei due maggiori discepoli di Lao-Tzu, Chuang-Tzu e Lieh-Tzu, la base del Taoismo.

Il Tao Teh-ching (Il Libro della Via e della Virtù) è considerato “l’opera più bella e profonda in lingua cinese” (Needham), “uno dei più importanti testi di tutta l’antichità” (Castellani), forse uno dei testi cinesi antichi più tradotti in Occidente pur essendo “intraducibile”. La lingua cinese e l’ambiguità del testo rendono le varie traduzioni talmente differenti tra loro che confrontandole sembra quasi impossibile che si riferiscano allo stesso testo.

Il punto di partenza dei pensatori taoisti non è filosofico, ma religioso-magico e si fonda su discipline (alimentari, respiratorie, igieniche) molto più antiche, già praticate dagli sciamani allo scopo di ritardare indefinitamente l’invecchiamento e di temprare corpo, mente e spirito al fine di realizzare "viaggi" in stato d’estasi.

La filosofia taoista sviluppandosi su queste basi, si opponeva al rigore morale, ai riti, alle regole e all’organizzazione socio-politica derivanti dal pensiero confuciano. Il Confucianesimo, infatti, rappresenta l’ideologia che ha permesso e sostenuto la formazione e il perpetuarsi dello stato burocratico centralizzato, dato che, sia nella famiglia sia nello stato, esso privilegia il principio gerarchico e rifugge da ogni turbamento dell’ordine costituito, che intende preservare con la pratica delle virtù.

Il Taoismo si basa su un ideale di vita autonoma, naturale, libera e gioiosa; esso considera i mali del mondo come conseguenza degli intralci, delle aggiunte superflue e deformazioni che la cultura ha imposto alla natura, indebolendo così il principio vitale. Per una vita felice è necessario ritrovare la semplicità delle origini conformandosi ai ritmi dell’universo, diventando come il Grande Tutto: il Tao. Il termine significa via, cammino e, per estensione, corso delle cose.

Il Tao rappresenta contemporaneamente l’agire e il non agire, il persistere e il mutare. In apparenza la natura è caratterizzata dal non-agire, dal non sforzo, dal non-fare, è necessario imitarla, ritrovare la perfetta semplicità dello stato primordiale, incontrare il Grande Tutto che è silenzio, quiete e perfetta indifferenza.

Il principio cosmico, che dà forma e sostanza al persistere e al mutare delle cose, si identifica con il Tao, in esso agisce una forza vitale, il teh, che si esplica pienamente in chi, identificandosi il più possibile con il Tao, adotta un comportamento inattivo, passivo, senza sforzo e senza scopo.

L’elemento dinamico del Tao è dovuto all’alternanza di due forze complementari e opposte: loyin e lo yang, la cui azione combinata presiede ai mutamenti di tutto l’universo.

Lo yin contiene il femminile, il tenebroso, l’umido, il negativo, il ricettivo; lo yang, il maschile, il luminoso, il secco, il positivo, l’attivo.

Tutto nell’universo è dominato da quest’alternanza polare; nulla sfugge all’ordine ciclico costituito dall’avvicendamento delle due forze opposte e complementari: neppure il tempo.

Le speculazioni su yin e yang, sono state sviluppate soprattutto nel Taoismo, ma anche il Confucianesimo e tutte le scuole di pensiero cinesi, utilizzarono il concetto di dualità con variazioni di contenuto secondo le epoche e le tendenze.

Il simbolo del Tao è costituito da un cerchio diviso in due parti, una nera ed una bianca, nello spazio nero è contenuto un piccolo cerchio bianco, nella parte bianca è collocato un piccolo cerchio nero. Nella maggior parte dei testi lo Yang è fatto coincidere con il maschile e lo Yin con il femminile, se così fosse, le donne sarebbero accoglienti, ma non assertive e gli uomini, al contrario, sarebbero assertivi, ma non accoglienti. Questa è la forma di schizofrenia che permea la nostra cultura e che ha arrecato danni inimmaginabili al genere umano. Con l’avvento di culture patriarcali, le donne sono state private del loro Yang ed i maschi del loro Yin.

La Grande Sacerdotessa

L’Imperatrice

L’Imperatore

Il Papa

Osservando le Lame II, III, IV e V notiamo una coppia Yin-Yang femminile ed un’altra equivalente maschile.

La prima figura è l’Arcano numero due dei Tarocchi: la Grande Sacerdotessa, raffigurata spesso come la Papessa; ma, in questo contesto, preferisco utilizzare il termine Sacerdotessa per il suo più elevato valore d’universalità. Si tratta di una donna seduta, che tiene nelle mani un libro aperto e appoggiato sul grembo; alle sue spalle compare una tenda, i cui punti di fissaggio non sono visibili. La sacerdotessa è la guardiana del Tempio Interiore, è la rappresentazione dello Yin femminile, la custode dell’ingresso all’inconscio e al grande vuoto. Il Viandante che sta proseguendo il suo viaggio è consapevole della necessità di sondare le dimensioni del profondo, di comprendere ciò che è occulto e misterioso, di conquistare ciò che è nascosto oltre il velo del Tempio. La Sacerdotessa afferma che non è questo il tempo per farlo, è necessario prima conquistare nuovi strumenti: la pazienza, la riservatezza, la discrezione, il silenzio, la meditazione, l’intuizione, il rapporto con lo spirito, l’accoglienza e la ricettività.

Solo con lo studio, l’applicazione e l’affinamento della propria sensitività si può proseguire il viaggio, ma non oltre il velo del tempio, il sentiero a questo punto conduce verso un’altra direzione. Il Viandante forse riceve in dono il libro di conoscenze offerto dalla Sacerdotessa, oppure ha il permesso di consultarlo e può comprendere che la soluzione ai problemi concreti può essere legata a percorsi differenti da quelli dei progetti suggeriti. Il Bagatto scopre che l’attività elettrica è completata dalla calma immobilità, che la realtà va oltre le apparenze, che il Mistero va incontrato da soli.

Attraverso il libro della Sacerdotessa, il Viandante impara a gestire gli impulsi che giungono dall’inconscio, ma per svelarne i segreti dovrà camminare ancora a lungo.

Il maschio dovrà affrontare il terrore del vuoto, di un femminile che lo sgomenta; dovrà lasciarsi ingravidare dallo Spirito e dal Mistero. La donna farà meno fatica in questa fase, poiché possiede naturalmente la conoscenza del vuoto, coincidente con la consapevolezza del suo utero-uovo cosmico, della gravidanza e dell’accoglienza.

Se il Viandante supera questa prova, può rivolgersi al secondo dei quattro personaggi che lo attendono: l’Imperatrice. L’Arcano numero tre rappresenta una donna coronata, seduta su un trono; in una mano regge uno scudo su cui è rappresentata un’aquila, nell’altra uno scettro.

L’Imperatrice rappresenta lo Yang femminile; l’agire della creatività attraverso la generazione, la fecondità, la natura, la pienezza. La sovrana insegna al Viandante la saggezza, il discernimento, il potere dell’intelligenza, della comprensione, dell’influenza solare dell’intelletto; insegna la capacità d’interagire con la realtà attraverso lo Spirito penetrando nell’anima degli esseri viventi e nell’anima del mondo. L’imperatrice è un aspetto della dea primordiale, essa rappresenta il femminile trionfante, la capacità di vedere nel suo insieme il mondo delle idee, sfuggendo alla ristrettezza delle proprie descrizioni e delle proprie concezioni.

Il maschio di fronte all’Imperatrice ha l’occasione di comprendere l’esistenza di uno Yang a lui sconosciuto, alternativo a quello degli stereotipi culturali a cui è abituato. La donna può scoprire finalmente il suo modo di utilizzare lo Yang, uscendo dagli schemi ristretti di una forma d’agire costruita esclusivamente su modelli maschili.

Il Viandante arricchito da questi nuovi doni può ora rivolgersi al terzo personaggio: l’Imperatore.

Questa figura è l’Arcano quattro dei Tarocchi e rappresenta lo Yang maschile. È un uomo incoronato seduto sul trono e raffigurato di profilo; in una mano tiene uno scettro, al trono è appoggiato uno scudo con l’immagine di un’aquila. L’Imperatore rappresenta la razionalità, il potere esecutivo, la capacità di governare la materia con autorevolezza. Egli insegna al Viandante il rigore, la fermezza, la capacità di realizzare le cose, la disciplina, la perseveranza, ma soprattutto l’utilizzo di un aspetto della volontà, ossia la facoltà di decidere consapevolmente il proprio comportamento in vista di un determinato scopo, superando ogni ostacolo e limite esterno. È la creatività maschile che si esprime attraverso la costruzione e l’edificazione, una capacità che, se priva degli insegnamenti della Sacerdotessa e dell’Imperatrice, può diventare sterile se non addirittura distruttiva. Il Bagatto attraverso le conoscenze dell’Imperatore pone ordine e disciplina nella sua spontanea creatività, ma senza l’insegnamento del femminile, che deve necessariamente precedere questa fase, rischia di diventare un freddo schiavo della tecnologia e della scienza. Il maschio di fronte all’imperatore riconosce il suo Yang naturale e impara ad utilizzarlo al meglio. La donna scopre l’altro modo di utilizzare la creatività. Purtroppo nella nostra cultura spesso questo è l’unico modello di Yang, l’approccio dell’Imperatrice è stato quasi totalmente cancellato, privando uomini e donne del rapporto con una creatività generativa e spontanea.

A conferma del fatto che l’Imperatrice e l’Imperatore siano i rappresentanti dello Yang (il primo femminile, il secondo maschile), possiamo notare che sullo scudo di entrambi è rappresentata un’aquila, simbolo solare per eccellenza; inoltre, entrambi impugnano uno scettro.

Ora il Viandante può incontrare l’ultimo personaggio: il Sommo Sacerdote, quasi sempre raffigurato come un Pontefice. L’Arcano numero cinque dei Tarocchi è lo Yin maschile.

Il Papa è rappresentato da un uomo seduto e coronato da una tiara, egli leva la mano destra in un gesto di benedizione o d’insegnamento, mentre regge nella sinistra l’assale di una croce a sei bracci. Alle sue spalle ci sono due colonne che rappresentano l’accesso al Tempio, questa volta non più protetto da una tenda o da un velo.

Lo Yin maschile è meno inquietante e misterioso di quello femminile, quindi più facilmente accessibile, anzi, è necessario conoscerlo prima di proseguire il viaggio. Infatti, il Papa insegna al Viandante la benevolenza, la generosità indulgente, la mansuetudine, la capacità di comprendere, accettare e perdonare. Egli suggerisce l’apprendimento attraverso l’ascolto del mondo, ma soprattutto di se stessi, per accrescere la propria spiritualità e la propria scienza.  Ma il Papa sollecita anche la capacità divinatoria, l’intuizione filosofica, la conoscenza spontanea; pone l’essere umano come intermediario tra lo Spirito e la sua manifestazione nella creazione e stimola l’utilizzo del secondo aspetto della volontà. La volontà proposta dal Papa si sviluppa a dispetto dell’opposizione della ragione, è una forza più totalizzante della ragione, è un’esplosione d’energia impersonale che crea una relazione tra noi stessi e il mondo percepito.

Il maschio di fronte al Papa entra in contatto con il suo Yin; non è un luogo che sgomenta poiché non si collega al vuoto come proponeva invece la dimensione presentata dalla Sacerdotessa, in cui la ricettività poteva diventare per il Viandante inesperto risucchiante e pericolosa. La donna scopre una forma “piena” dello Yin prendendo contatto con la ricettività maschile.

Così si conclude questa parte del viaggio e il Viandante si trova di fronte ad una scelta: fermarsi a questo punto facendo buon uso di quanto ha appreso, oppure continuare il viaggio? Nel primo caso la persona si troverebbe a vivere una vita lucida ed equilibrata, in buona armonia con i principi della dualità maschile-femminile, capace di gestire il fluire dello Yin e dello Yang nella propria personalità. Sarebbe in grado di sviluppare la propria creatività nelle sue varie manifestazioni e di avere un rapporto equilibrato con le istanze profonde e inconsce, alle quali però non avrebbe accesso, pur avendo appreso percorsi adeguati per gestirne gli effetti sulla dimensione cosciente. Nel secondo caso la strada prosegue verso spazi ignoti.

L’Innamorato

L’Arcano numero sei è l’Innamorato.

Un uomo, tra due donne, è sovrastato da un angelo armato d’arco nell’atto di scagliare la freccia; alle spalle dell’angelo c’è il sole o comunque una sfera emanante energia. In alcuni mazzi di Tarocchi, questo Arcano è rappresentato da Ercole di fronte ad un bivio; il significato della lamina è comunque legato alla scelta.

Il Viandante deve attivare il proprio libero arbitrio, superare una prova, affrontare il termine della fase d’istruzione, compiere l’atto volontario della personalità cosciente. Egli ha terminato il primo stadio della sua formazione e può proseguire il viaggio accettandone i rischi e mutandone la natura. Infatti, sino ad ora il suo ruolo apparteneva al Viandante curioso, desideroso di apprendere e il suo vagare, pur essendo legato al desiderio di conoscenza, non era indirizzato ad una meta precisa. Vi è in questa scelta anche il significato di conclusione della pubertà spirituale: è tempo di fecondare la propria esistenza con una scelta creativa e consapevole. Restare implica vivere appieno il quotidiano in modo vitale e non passivo; partire significa accettare la sfida del Mistero.

Se deciderà di proseguire il viaggio, il ruolo del Viandante muterà: egli diventerà un Guerriero.

Il Carro

L’Arcano numero sette è il Carro.

Un uomo incoronato guida un carro sormontato da un baldacchino e trainato da due cavalli (spesso di diverso colore) che sembrano procedere su traiettorie divergenti. Il superamento della prova rappresentata dall’Arcano dell’Innamorato, pone il viaggiatore in condizione di mettere in pratica ciò che ha appreso. Egli può diventare un Guerriero e possederne tutti gli attributi e le caratteristiche, ma questi strumenti, che sono la rappresentazione del suo potere personale, sono anche forze potenti difficilmente controllabili.

Il Guerriero che ci guarda dal Carro non vive una vita ordinaria, non è un vampiro di se stesso e dei propri simili; è in grado di separare nettamente i sentimenti dalle idee, le emozioni dalla ragione; dispone strategicamente della propria vita per arrivare alla totalità di sé; il suo stato d’animo è basato sul controllo di se stesso e nello stesso tempo l’abbandono di se stesso in ogni singolo atto. Un Guerriero calcola tutto: questo è controllo; poi agisce, lascia andare, questo è abbandono.

Naturalmente il nostro viaggiatore è ben lontano dal sapersi muovere in questo modo, però, se vuole proseguire, deve impararlo e, ancora una volta, come nel caso della Sacerdotessa, il primo Arcano del nuovo ciclo d’apprendimento mette in guardia sulle potenzialità e i pericoli del percorso. I cavalli rappresentano il potere della dualità: solo imparando che gli opposti non sono contrapposti è possibile proseguire in linea retta e questo è il primo insegnamento. L’apprendista Guerriero deve scoprire tutte le forme duali presenti in lui e considerarle aspetti necessari dell’unità: senza buio non c’è luce; senza alto non c’è basso; senza freddo non c’è caldo… Il Carro parla dell’attivazione delle proprie attitudini, del movimento nel mondo, della fermezza, della pacificazione degli opposti e della conciliazione degli antagonismi. Il rischio che il viaggiatore incontra è quello di sentirsi pago nel suo ruolo di trionfatore sulla natura delle cose, potrebbe credere che il viaggio sia finito o che sia fine a se stesso e rinchiudersi in un delirio d’onnipotenza.

Il giovane guerriero che sente tutto il potere risultante dalle precedenti esperienze e desidera sperimentare, è bene che impari la prudenza.

La Giustizia

Il Carro è un elemento Yang e necessariamente sarà equilibrato da un elemento Yin, infatti, l’apprendista Guerriero si trova di fronte un nuovo personaggio: la Giustizia.

Una donna seduta su un trono, tiene nella destra una spada sguainata con la punta rivolta verso l’alto e nella sinistra una bilancia con i piatti in equilibrio. Così si presenta l’ottavo Arcano dei Tarocchi.

Il suo insegnamento riguarda la chiarezza del giudizio, l’equilibrio, il metodo, l’organizzazione, la disciplina, le regole, l’obbedienza alle leggi della natura. Una volta individuato il proprio compito è necessario scoprire l’imparzialità ed essere consapevoli che qualunque violazione alle leggi cosmiche non resterà impunita, e non per vendetta, ma per il ristabilimento dell’equilibrio.

Questo Arcano non ci parla di un esteriore significato della legge, ma del senso interiore di giustizia; chi sulla strada della conoscenza non si adegua alle leggi universali, non viene eliminato: è escluso.

La massima punizione è l’essere esclusi da una vita consapevole; l’apprendista Guerriero questa volta non deve compiere una scelta nei confronti della strada da seguire, ma nei rapporti tra se stesso e il mondo. Se questa visione impedisce al viaggiatore di essere travolto dal delirio d’onnipotenza o dall’uso negativo dei poteri suggeriti dal Carro, potrebbe frenarlo nella sua evoluzione. La Giustizia non deve diventare occasione di stasi o di rigidità, d’accettazione supina delle regole e di mancanza d’iniziativa; ma come può il viaggiatore superare questo scoglio? Come trovare la via per gestire in modo corretto gli insegnamenti e i rischi che giungono dal Carro e dalla Giustizia?

L’Eremita

Un nuovo personaggio si avvicina: è l’Eremita.

È un vecchio, procede appoggiandosi ad un bastone che tiene nella mano sinistra, mentre nella destra regge una lanterna che rischiara il cammino.

Il nono Arcano dei Tarocchi suggerisce all’apprendista Guerriero di ritirarsi in solitudine a meditare sulle cose apprese affinché sedimentino; è necessario approfondire le proprie facoltà nel silenzio e nell’ascolto di se stessi. È la discesa nella grotta, il viaggio nel deserto, l’ascesa alla montagna, con la consapevolezza che la possibilità di vederci chiaro è ancora limitata, come simboleggia la fioca luce della lanterna. Forse la soluzione per l’apprendista Guerriero che si dibatte tra l’onnipotenza e la giustizia cosmica è costituita dall’applicazione del socratico “So di non sapere”. Cercare se stessi con il solo ausilio di una lanterna, come Diogene insegna, non è impresa facile, ma è necessario per comprendere cosa sia bene per noi. La lanterna ci ricorda l’umiltà e la rinuncia all’onnipotenza, oltre all’illusione che i nostri lumini, fatti di cultura e tecnologia, siano fari abbaglianti. A questo punto il viaggiatore è solo, avvolto dal buio del Mistero e può contare solo su se stesso e sul bastone cui si appoggia, simbolo di quanto ha appreso. L’Eremita però non è statico, egli cammina e suggerisce che il chiarimento giungerà spontaneamente, bisogna soltanto avere pazienza.

L’Eremita raccomanda all’apprendista Guerriero di non cedere ai fasti e agli onori suggeriti dal Carro e al desiderio di sfoggiare le proprie conoscenze; è la guida che ci accompagna e ci insegna ad entrare in contatto con il nostro maestro interiore; egli ci aiuta a sviluppare la capacità d’ascolto silenzioso. Il pericolo di questa fase del viaggio è di ripiegarsi in se stessi isolandosi dal mondo in modo eccessivo, sviluppando comportamenti ossessivi e diventando misantropi: altro richiede il cammino della conoscenza.

La Ruota della Fortuna

Ecco che uno strano apparecchio compare di fronte al viaggiatore: si tratta di una gigantesca ruota a sei raggi, mantenuta sospesa da una struttura in legno; sulla ruota stanno abbarbicati insoliti personaggi. È l’Arcano numero dieci, la Ruota della Fortuna.

Questa Lama suggerisce all’apprendista Guerriero di uscire dall’isolamento e tuffarsi nella vita.

Un altro ciclo si è concluso e un’altra prova deve essere superata.

La dualità si presenta sotto la forma della continua ciclicità dell’esistenza: alla primavera seguono l’estate, l’autunno, l’inverno e la primavera e… alla vita segue la morte, alla morte la vita. Il momento di stasi contiene la ripresa, nella ripresa già si intravede la prossima stasi; nel successo il decadimento, nell’insuccesso la ripresa. È la ruota del Karma, del destino, della morte e della rinascita, della casualità: ma esiste la casualità?

La Ruota della Fortuna indica al viaggiatore di uscire dall’isolamento che l’Eremita gli aveva suggerito per entrare nel grande cerchio della vita. Soltanto comprendendo e condividendo la sorte delle altre creature, la loro storia, la loro natura è possibile proseguire. Ancora una volta il viaggiatore può decidere di fermarsi entrando nel girotondo dell’esistenza: sarà un Guerriero consapevole e allegro che impara a vincere ed a perdere le sue battaglie, a bilanciare gioie e dolori, accettando serenamente ciò che la vita gli porterà nel bene e nel male. Se vorrà proseguire il viaggio la sua meta sarà rappresentata dal mozzo della ruota, dal centro del cerchio. Questa impresa richiederà nuove scelte e nuove difficoltà che lo trasformeranno in un Mago, in un uomo o una donna di conoscenza; ma per raggiungere questo obiettivo dovrà sperimentare ulteriori mutamenti.

La Forza

Se il Guerriero inizia il viaggio verso il centro della ruota, incontra l’Arcano numero undici: la Forza.

Si tratta di una giovane donna che schiude (o impedisce che si chiudano) le fauci di un leone. La donna porta un cappello che nella forma ricorda quello del Bagatto. In quasi tutte le culture è raro incontrare la forza rappresentata da un simbolo femminile, questo dato rende l’Arcano undici particolarmente importante e significativo. Mentre il Bagatto, e il Carro sono rappresentazioni Yang della forza, qui ci troviamo di fronte alla sua immagine Yin; ovvero la forza del non-sforzo. Non c’è desiderio di distruzione o di sopraffazione, non c’è bisogno di controllo, né competizione; si tratta invece dell’energia suprema a cui nulla può resistere. La Forza non ispira una lotta dominata dall’ira, dalla paura o dalla violenza; si manifesta soltanto il desiderio di evitare un danno, di contenere l’avversario facendogli sentire il potere inesauribile della non-violenza. Questo Arcano annuncia che si può combattere senza coinvolgimento nello scontro e senza sforzarsi: la battaglia così, può continuare indefinitamente.

Soltanto scoprendo questa Forza il Guerriero può proseguire il viaggio, imparando che la dualità dello sforzo è un “non-sforzo” altrettanto gravido di potenzialità. Dopo aver appreso questa nuova lezione che lo renderà un Guerriero ancora più consapevole e potente, il nostro viaggiatore dovrà apprendere la lezione dell’Offerente e cioè quella dell’offerta volontaria al mondo attraverso la rinuncia, all’utilizzo del proprio potere personale appena conquistato.

L’Offerente non cerca la sofferenza o il martirio e   neppure   si   aspetta ricompense per il proprio sacrificio, semplicemente si accorge che la Conoscenza non si ottiene soltanto lottando: si ottiene anche attraverso l’offerta di sé, donando la propria vita all’universo. Il viaggiatore della Conoscenza comprende anche che è il tempo di arrendersi alla vita. Per chiarire questo concetto riporterò un brano del mio romanzo “Venne un Uomo”: “Immagina la vita come un fiume nel quale ogni essere è immerso. La maggioranza degli esseri umani tende a nuotare contro corrente, guidata dall’istinto di opporsi a qualcosa che non comprende e che trascina ognuno verso una meta sconosciuta. L’unico risultato che si ottiene nuotando contro corrente è quello di esaurire le proprie forze e di essere travolti dal fiume. Si arriverà al mare esausti e malconci. Alcuni comprendono che è saggio abbandonarsi alla corrente poiché essa va dove è giusto che vada. Si godono quindi il viaggio, la bellezza delle rive, le difficoltà del percorso, l’acqua stessa. Molto spesso però anche quelli che si abbandonano al fiume vorrebbero un viaggio senza pericoli, quindi se vedono un coccodrillo si spaventano.

Normalmente si mettono a nuotare furiosamente per fuggire: è inutile, i coccodrilli nuotano meglio degli esseri umani. Per quanto lunga sia la sua fuga alla fine il coccodrillo raggiungerà la preda e la divorerà. Sarà una preda stanca e terrorizzata: se accade di essere divorati io credo sia meglio esserlo senza sprecare troppe energie. Se si lascia venire il coccodrillo e non si fugge, si scoprirà ben presto che anch’egli è un’illusione del fiume, che i suoi morsi non lacerano nulla, che si è ancora nella corrente. Il coccodrillo fa parte del fiume, non è male”.

L’Appeso

L’Arcano numero dodici insegnerà al Guerriero questa lezione, si tratta dell’Appeso. L’Appeso è rappresentato da un uomo con le mani legate dietro la schiena e sospeso per un piede ad un pezzo di legno sostenuto da due alberi potati. Nella vita ci sono momenti in cui è impossibile agire, non si può vincere, combattere o resistere: soltanto attendere. Di fronte al patibolo possono transitare persone che ridicolizzeranno la vittima, animali predatori faranno strazio del suo corpo, la pioggia inzupperà l’Appeso e il sole brucerà la sua carne sino a disidratarla; la notte lo congelerà e chiunque potrà infierire su di lui. È un momento difficilissimo: accettare l’inerzia e la sofferenza, la rinuncia all’importanza personale, come momenti necessari per la propria evoluzione, richiede un grande coraggio. È importante notare un significato che pochi colgono: l’Appeso guarda il mondo a rovescio. A mio parere l’Arcano consiglia di utilizzare la stasi come occasione per osservare la realtà da un altro punto di vista; non solo, spesso le situazioni in cui siamo intrappolati, senza apparenti vie d’uscita, in realtà sono risolvibili: sarebbe sufficiente mutare la loro descrizione.

In alcune raffigurazioni, dalle tasche dell’Appeso cadono danari, nei Tarocchi cosiddetti di Carlo VI, le mani del personaggio non sono legate dietro la schiena, ma recano due sacchetti di monete. Le prime denominazioni dell’Arcano lo identificavano come “il Traditore” e Giuda vendette Cristo per trenta denari; sappiamo, da un documento del XVI secolo, che la pena dell’impiccagione per un piede era riservata a chi tradiva. Un uomo con le mani legate dietro la schiena e appeso per un piede, piega la gamba libera per legge naturale, al fine di lenire i dolori creati dallo squilibrio generato da quella posizione; molti occultisti hanno però utilizzato la conformazione a croce che la gamba libera crea con quella legata, a sostegno delle loro convinzioni dottrinali.

L’Appeso consiglia l’oblio di se stesso rinunciando ad ogni tornaconto individuale; è la lezione del Martire, l’offerta volontaria al mondo attraverso la rinuncia all’utilizzo del proprio potere personale appena conquistato. Il Testimone della fede non cerca la sofferenza e neppure si aspetta ricompense per il proprio sacrificio, semplicemente, si accorge che le vie per raggiungere la Conoscenza sono infinite. È un immagine che s’incontra anche nell’Edda di Snorri Turluson, un’opera basata sulla mitologia nordica e risalente al XIII secolo: Odino per ottenere le sacre rune, rimane appeso per nove notti, senza cibo né bevanda, all’albero cosmico Yggdrasill, il sacro frassino. L’Appeso non può fare nulla, non può liberarsi, è impotente ed è importante che accetti questa condizione, poiché la cessazione del martirio implicherebbe la conclusione del viaggio e la rinuncia alla conquista del proprio Graal. La crocifissione del Cristo c’insegna tutto questo, quindi è possibile associarla all’Arcano dodici, anche se non necessariamente l’Appeso rappresenta Gesù.

Se l’iniziato vuole completare il proprio cammino è necessario che il suo ego si annulli, deve quindi attendere l’unica liberazione possibile: la morte.

L’Arcano senza nome

L’Arcano numero tredici dei Tarocchi è l’unico a non avere un nome. Uno scheletro che impugna la falce avanza tra diversi resti umani: la testa coronata di un uomo, quella di una donna, mani, piedi e arti. È il momento della morte iniziatica, della totale rinuncia all’ego e alle proprie illusioni, del ritorno al caos primigenio; è il cambiamento assoluto che spazza ogni cosa, che rompe ogni legame, che annulla ogni progetto; ma è anche la rappresentazione di un inizio.

Le teste e le membra tagliate ricordano al viaggiatore che la Morte è imparziale, colpisce tutti, ma sono anche la rappresentazione dello smembramento che lo sciamano deve affrontare nell’Altro Mondo, per rinascere alla consapevolezza. La Morte è sempre stata associata alla fine totale di qualcosa di positivo e vivo: un essere umano, un animale, un vegetale, una situazione, un periodo, un’epoca. Sul piano simbolico la Morte rappresenta quindi l’aspetto distruttore dell’esistenza, ma non dobbiamo dimenticare che dell’esistenza fa parte, la Morte è un aspetto della vita anche se ne rappresenta l’ultimo atto. È fondamentale riappropriarsi dei concetti di sofferenza, dolore, morte, reinserendoli nei parametri naturali ed esistenziali: fanno parte del gioco, è inutile fingere che non sia così. Un atteggiamento di rifiuto o negazione nei confronti di queste dimensioni può soltanto amplificare il malessere e bloccare l’evoluzione personale. Soltanto accettando che sofferenza, dolore e morte, fanno parte della vita, sono eventi assolutamente naturali e inevitabili, il viaggiatore della Conoscenza imparerà a gestire il malessere nell’incontrarli. La morte introduce ai mondi sconosciuti, agli Inferi, ai Paradisi o al ciclo delle rinascite. Essa è una porta, una chiave d’accesso che conduce all’altrove: si attraversa sempre un momento che è morte prima di affrontare la trasformazione.

In questo senso la Morte ha valore psicologico: libera le forze negative e regressive, dematerializza e scioglie le forze ascensionali dello spirito. In ogni essere umano, a tutti i livelli d’esistenza, coesistono la morte e la vita, cioè una tensione tra forze contrarie: la morte, forse, è la condizione necessaria per accedere ad un altro livello di vita superiore. Ogni momento di crescita implica la morte della fase precedente, quindi morte come trasformazione e non come dissoluzione interpretata in termini di perdita. La dissoluzione insita nell’Arcano senza nome è da leggere in senso alchemico: l’essere che fornirà la materia della pietra filosofale viene chiuso in un recipiente e privato d’ogni contatto esterno, fino a morire e putrefarsi. La dissoluzione quindi come conquista dell’essenzialità, ritorno alla terra, alla materia primigenia, quindi alverbo. Proprio come nell’iniziazione sciamanica l’iniziato deve raggiungere l’Altro Mondo e percorrerne i sentieri, affrontarne le difficoltà e i pericoli; soltanto dopo questa fase potrà riprendere il viaggio rinascendo a nuova vita.

La Temperanza

La rinascita, se avverrà, farà incontrare al viaggiatore della Conoscenza l’Arcano quattordici: la Temperanza. Un angelo dalle fattezze femminili regge nelle mani due brocche, una tenuta in alto, l’altra posta in basso; il liquido contenuto nei recipienti viene costantemente versato da uno all’altro. Data la posizione delle brocche, il fluido in esse racchiuso, probabilmente acqua, si dovrebbe inevitabilmente versare; siccome ciò non avviene, l’evento ha in sé qualcosa di portentoso, soprattutto perché il liquido non sembra scorrere soltanto dall’alto verso il basso, ma anche dal basso all’alto. La Temperanza è legata all’acqua, a tutti i liquidi, evoca l’oceano primordiale, il fiume circolare che sostiene la vita, i riti di morte e resurrezione.

Il fluido rappresenta ancora una volta la forza duale dell’universo che si manifesta come flusso continuo e attraverso la mescolanza degli opposti. Anche l’androginia del personaggio suggerisce questa fusione, così come il suo aspetto contemporaneamente umano e angelico: si tratta di un angelo dal viso femminile? È una donna travestita da angelo? È la dualità personificata? Difficile deciderlo, ma forse questo non è importante, ciò che conta sono i doni che porta.

Il liquido delle brocche dice al viaggiatore resuscitato dalla morte che il potere della dualità era controllato dal guerriero del Carro, gestito nell’Arcano della Forza e ora scorre senza interruzione di continuità all’interno del suo spirito non più ostacolato dalle ragnatele dell’ego.

La Temperanza è anche simbolo dell’armonia universale e del continuo scorrere del tempo, ma se nella Ruota della Fortuna questa alternanza prevedeva continui mutamenti, continui alti e bassi, questa volta il flusso è equilibrato e costante. Riporterò ancora un brano tratto da “Venne un Uomo”:

“Pochi, siedono sulla riva (del fiume). Siedono perché da qualche parte è bene che stiano. Potrebbero sedere alla sorgente oppure alla foce, potrebbero essere nella corrente oppure sciogliersi nel mare. Siedono perché hanno capito che il fiume è meraviglioso e vale la pena guardarlo. Essi sanno che nel fiume tutto è bene, anche le cose spiacevoli sono bene se si comprendono.  Voi siete abituati a credere che le cose piacevoli siano bene e quelle spiacevoli siano male, non è così. Tutto ciò che conduce alla crescita e alla consapevolezza è bene, anche quando passa attraverso strade dolorose... Essere seduti sulla riva non vuol dire essere fuori dalla corrente della vita, vuol dire guardare la corrente della vita da un altro punto di vista... Essere seduti sulla riva significa essere già arrivati al mare e aver deciso di continuare a condividere il fiume perché anche il fiume fa parte del mare. Essere seduti sulla riva significa sapere che la corrente ci definisce, ma noi non siamo la corrente. Il fiume ci definisce, ma noi non siamo il fiume. Significa uscire dalle descrizioni che diamo di noi stessi e che ci fanno credere di essere una certa cosa”. Il viaggiatore della Conoscenza non è ancora pronto per questo, ma il flusso dei liquidi che la Temperanza sorregge è presagio di ciò che potrà essere un aspetto della meta finale. La donna angelo è anche la guaritrice che aiuterà a superare i traumi della morte e della rinascita, lo spirito adiutore che versa l’armonia universale al fine di sanare lo squilibrio individuale.

Il viaggio ora può riprendere, il contatto con le sostanze celesti ha dato nuovo vigore all’aspirante Mago, facendogli percepire il potere luminoso della dualità, nella dualità; se vuole proseguire è tenuto a sperimentare il contatto con il lato oscuro della dualità, nella dualità. Una persona in cerca di Conoscenza ha la necessità di percorrere tutte le strade della dualità, liberandosi dal condizionamento che indica nella luce la sola forma accettabile di sapere; dice una preghiera dei pigmei africani: “Non avere paura del buio, se la notte esiste è una buona cosa”.

Il Diavolo

Per conquistare la completa consapevolezza di sé, è indispensabile conoscere se stessi in tutti i propri aspetti e comprendere che l’universo è prodotto dall’unità diversificata negli opposti, attraverso tutte le possibili sfumature di essi.

È tempo d’incontrare il Diavolo, l’Arcano numero quindici.

Un ermafrodita alato e cornuto che regge nella sinistra un tridente o una spada, è posto sopra ad un piedistallo, in basso e ai suoi fianchi ci sono due personaggi (spesso un uomo e una donna con attributi animali, oppure due demoni) con le mani legate dietro la schiena e incatenati ad un anello posto al centro del piedistallo. È il momento d’incontrare la materia, l’istinto e le forze della libido, osservandole da un diverso punto di vista. Se il Bagatto incontrasse il Diavolo prima di aver compiuto tutto il percorso, potrebbe essere catturato da questo aspetto diventando un mago accecato dal delirio d’onnipotenza; ecco perché il viaggiatore della Conoscenza ha dovuto superare tante prove prima di questo incontro.

Come nel caso della Temperanza ci troviamo di fronte ad un androgino alato, il significato di questa androginia è identico a quello dell’Arcano precedente, anche se i contenuti espressi sono differenti.

Il Diavolo controlla il mondo materiale e istintivo, questo implica proprio la capacità che l’aspirante Mago ha sviluppato e cioè quella d’avere potere su ciò che lo intrappolava nell’ego. Il Diavolo rappresenta anche la forza del fuoco, della sessualità e le due creature incatenate simboleggiano appunto le passioni che devono essere riconosciute e tenute sotto controllo; egli non è la rappresentazione del male, il male non esiste: esiste soltanto il dolore. Il Diavolo rappresenta lo Yang di un Tao in cui la Temperanza è lo Yin; si potrebbe allora pensare che se la Temperanza è signora dello spirito, il Diavolo sia signore della materia, ma non è così, a mio parere non esiste dicotomia spirito-materia: esiste la Forza.

Questo concetto è espresso in modo molto chiaro in un brano tratto dal messaggio che la Confederazione Irochese delle Sei Nazioni ha inviato al mondo occidentale: “Un filo d’erba è una forma di energia espressa in materia: la materia-erba. Lo spirito dell’erba è questa forza invisibile che produce le diverse specie dell’erba ed essa si manifesta a noi sotto forma dell’erba reale. Tutte le cose del mondo sono cose reali, materiali. La Creazione è un fenomeno vero e materiale ed essa si manifesta a noi attraverso la realtà. L’universo spirituale, allora, si manifesta all’uomo sotto la forma della Creazione, la Creazione che sorregge la vita”.

Così come, a mio parere, non esiste contrapposizione tra spirito e materia, non esiste contrapposizione tra bene e male. Nel suo aspetto oscuro potremmo considerare il Diavolo come Signore delle Tenebre, simile all’azteco Tezcatlipoca, piuttosto che detentore del male. La Lama numero quindici evoca l’Archetipo dell’Ombra e ci ricorda che in questo allineamento della realtà, tutto è duale.

Egli non è malvagio, rappresenta una forza molto potente, forse oscura, tenebrosa, ma non malvagia. La gente spesso usa questa forza per “fare” il male: con l’energia elettrica si può illuminare oppure si possono attivare congegni di morte, ma non si può affermare che responsabile di questo sia l’energia elettrica.

In tutti gli esseri esiste una somma di forze, forse il Diavolo rappresenta tutte quelle cose che non vogliamo vedere e che consideriamo brutte e cattive: non sono brutte e cattive, sono cose. Non ci sono cose cattive in sé, lo diventano tutte le volte che non le vogliamo vedere. Per raggiungere la luce, prima bisogna conoscere le tenebre, per avere il paradiso bisogna prima scendere all’inferno, per apprezzare le stelle è necessario conoscere il fango. In noi ci sono tenebre, inferni, fango, è necessario riconoscerli, capire che non sono brutti e malvagi; è importante accettarli per superarli, in caso contrario ci aggrediranno. Il Diavolo è una forza della natura, non è contro natura, è stato dipinto così per giustificare la malvagità umana, una malvagità che è figlia dell’uomo e conseguenza delle   repressioni, della paura, dell’ignoranza e dell’egoismo.

La Torre

A questo punto, il viaggiatore della Conoscenza si trova di fronte a un nuovo pericolo: egli ha conquistato la consapevolezza delle due manifestazioni della forza universale, ha sperimentato quasi tutti gli aspetti di se stesso, è morto ed è risorto, ha conquistato lucidità e potere personale sconfiggendo le sue paure...

L’aspirante Mago potrebbe sentirsi simile ad un dio e proprio come Lucifero, potrebbe diventare preda di un nuovo e più pericoloso delirio d’onnipotenza, rischiando di costituire un altro ego, non più legato alla realtà sensibile e quotidiana, ma a quella soprasensibile. È il momento della Torre, l’Arcano sedici.

Sulla strada del viaggiatore compare una torre avvolta da nubi tempestose e da sfere di energia, la costruzione è percossa da un fulmine che ne distrugge la cima, mentre due uomini precipitano nel vuoto. L’onnipotenza umana suggerisce la costruzione della torre di Babele, dove le lingue si confonderanno; è il monumento all’arroganza, alla presunzione e all’orgoglio, di chi, come Lucifero, desidera scalare il cielo per diventare signore dell’universo.

L’apprendista Mago ora ha molto potere personale e con questo potere deve ingaggiare una battaglia, in caso contrario ne sarà vittima e rimarrà intrappolato nella torre che egli stesso ha costruito. Solo comprendendo che il potere donato dalla consapevolezza altro non è che un pesante bagaglio sulle spalle dell’iniziato, il viaggio può proseguire.

Tutto ciò che è umano è destinato a decadere, a frantumarsi, a finire; le certezze devono crollare, così come deve crollare ogni forma di presunzione e di manifestazione egoica. Il viaggiatore può decidere di saltare spontaneamente nel vuoto, oppure può chiedere aiuto alle forze universali che certamente si faranno interpreti della sua preghiera intervenendo con spietatezza e distruggendo ciò che lo imprigiona e che egli stesso ha costruito.

Anche la consapevolezza e la conoscenza possono essere un pericolo poiché, come ogni cosa, anch’esse obbediscono alle leggi della dualità. È il momento della seconda morte, la Giustizia Universale interviene per fornire all’ambizioso che, troppo preoccupato a salire, ha dimenticato di costruire salde fondamenta, una nuova occasione: è necessario ricominciare tutto da capo.

Le Stelle

Alla fine della caduta il viaggiatore della Conoscenza viene accolto dal primo simbolo cosmico: le Stelle.

Nell’Arcano diciassette, incontriamo una giovane donna nuda che sta versando il contenuto di due brocche in una superficie d’acqua (fiume, lago, stagno, mare); la donna è sovrastata da alcune stelle.

In molti miti, la stella che compare nel cielo dell’eroe rappresenta il segno della benevola guida della divinità; è il tempo del rinnovamento e di una nuova rinascita. Il fluido che scorreva senza interruzione tra le brocche tenute dalla Temperanza, ora viene versato a fecondare il mondo. La conoscenza conquistata dall’apprendista Mago, non può essere trattenuta per costruire un simulacro all’ambizione personale, pena l’esclusione dal viaggio; è bene invece diffonderla tra le creature come acqua di fonte, al fine di dissetare chiunque desideri abbeverarsi.

Il femminile che si esprime attraverso la giovane donna, rammenta vari archetipi: la madre sempre giovane, l’amante, la consolatrice, la natura, il ritorno alle origini.

Sullo sfondo della lama, a sinistra, in cima ad una collina notiamo una quercia su cui è posato un uccello nero.  Andrea Vitali, in uno scritto pubblicato nel 1997 in occasione della mostra “Tarocchi: le carte del Regno”, identifica nell’immagine raffigurata in quest’Arcano una Naiade, quindi una ninfa dei fiumi. Per questa interpretazione, l’autore si rifà al De Antro Ninpharum scritto dal neoplatonico Porfirio nel secondo secolo dopo Cristo. Questa spiegazione, porterebbe ad escludere un’identificazione dell’Arcano numero diciassette con la figura astrologica dell’Acquario, come invece molti sostengono, ma anche se la fanciulla è una Naiade vi sarebbe un riferimento più remoto ed è proprio l’uccello nero a suggerirlo. Il più antico oracolo greco si trovava a Dodona, nell’Epiro, le profetesse erano donne e vaticinavano presso la quercia sacra a Zeus.

Erodoto, riferisce un mito secondo cui due colombe nere partirono da Tebe, in Egitto. Una raggiunse la Libia dove fondò il santuario d’Ammone; l’altra volò a Dodona dove, dopo essersi posata su di una quercia, affermò con voce umana che in quel luogo doveva sorgere un oracolo. Le sacerdotesse legate a questo luogo erano dette peléiades, colombe, in ricordo della fondatrice dell’oracolo. Il nome peléiades, ricorda le sette ninfe Pleiadi che Zeus salvò dal cacciatore Orione, trasformandole in colombe e trasportandole in cielo, dove si trasformarono in stelle, dando origine all’omonima costellazione. Nell’Arcano le stelle raffigurate sono otto: sette piccole ed una più grande. Se le sette stelle più piccole rappresentano le Pleiadi, qual è il significato della stella centrale? Per i Sumeri Venere era “colei che mostra la via delle stelle”, simbolo di nascita, dea dell’amore, generatrice della razza umana. La stessa lettura fu data dai Greci e dai Romani, quindi l’ottava stella potrebbe rappresentare Venere. Potremmo però anche considerare Dione, una divinità arcaica, preellenica, sulla cui identità sono state sviluppate varie ipotesi. Alcuni la collegano a Rea, sposa di Cronos e madre di Zeus, cui era consacrata la quercia; altri l’associano a Dia, che significa “del cielo”. La prima entità spirituale di Dodona potrebbe quindi essere una misteriosa divinità della quercia chiamata in seguito Dione, la dea sposata da Zeus a Dodona. Gl’invasori Elleni, avrebbero potuto mescolare i miti legati alle colombe con quello delle nozze tra Zeus e Dione, al fine di impossessarsi del più antico santuario greco, facendo prevalere la loro cultura patriarcale a scapito del culto della Dea. Questi elementi collocherebbero l’origine dell’Arcano in tempi molto antichi. Ma le Stelle rappresentano anche il momento della ripresa del viaggio, di un nuovo inizio; dopo aver affrontato tante prove, tante sconfitte e paure, il viaggiatore sosta in contemplazione e si rigenera. Egli capisce che il suo desiderio di conoscenza non può fondarsi sulla fretta e l’impazienza, scopre che per quanto grande sia la sua capacità di sentire, capire, ascoltare, il mondo e l’universo resteranno per lui un mistero che non comprenderà mai completamente. Sa anche che non può tornare indietro, niente è più come prima, se in altri momenti del viaggio avrebbe potuto fermarsi, ora non è più possibile: può soltanto proseguire. Così l’apprendista Mago sale sul fragile vascello della sua nuova consapevolezza e si accinge ad attraversare l’acqua che gli sta di fronte.

La traversata lo porta ad incontrare l’Arcano diciotto: la Luna.

La Luna

Venti gocce o lacrime variopinte sembrano zampillare dalla Luna, rappresentata contemporaneamente piena e nel primo quarto, raffigurato come un profilo umano. Dall’astro partono venti raggi e, sulla Terra sottostante, vi sono due torri, ognuna sulla sommità di una collina; più in basso, una coppia di cani o di lupi. Gli animali sembrano ululare verso la Luna. L’acqua che si trova in primo piano pare contenuta in una piscina, ma è increspata da onde e quindi suggerisce il movimento e non la stagnazione. Immerso nell’acqua c’è un granchio, in altre raffigurazioni l’animale somiglia ad un’aragosta o un astice. La scelta del crostaceo è in ogni caso riferita alla Luna, in molte culture infatti questo animale è stato associato all’astro notturno, forse per il suo modo di muoversi; presso i Thai, gli antichi abitanti del sud-est asiatico, il granchio assiste il guardiano della “fine delle acque” all’ingresso della caverna cosmica.  La Luna rappresenta Iside, depositaria di un femminile magico e ricettivo: la Sacerdotessa è ascesa al cielo. Secondo la tradizione, ogni essere vivente è una goccia di sangue di Iside, forse le gocce rappresentate nell’Arcano diciotto sono collegate a questo mito. Le stille sono raffigurate al contrario e sembrano dirigersi verso la Luna: mentre i raggi scendono verso la Terra, le gocce ritornano all’origine. Il nostro satellite attrae i liquidi e Iside resuscita i defunti, richiama a sé le gocce che ha generato, è la Grande Madre Cosmica: anche l’Imperatrice ha raggiunto il cielo ed il femminile ha compiuto il suo Tao.

L’Arcano però ammonisce il viaggiatore: la visione non è ancora chiara e la prudenza è necessaria, perché è facile lasciarsi trarre in inganno dall’immaginazione. È il tempo della magia e del mistero, è il momento di affrontare il segreto celato dietro il velo del tempio, la Sacerdotessa guardiana non fermerà più il pellegrino perché egli ora possiede gli strumenti necessari. La capacità di governare il potere dell’intuizione, del sogno, dell’illusione, è fondamentale per chi segue una via di conoscenza; il pericolo, ancora una volta, è quello di perdersi. Uscire dalle acque dello stagno primordiale per superare i cani, guardiani delle porte del cielo e le due torri che, simili alle Colonne d’Ercole, rappresentano il confine del mondo, sarà il prossimo passo dell’eroe. È il momento dell’iniziazione ai misteri, a tutto ciò che è occulto, sia nell’animo del viaggiatore, sia all’esterno. Ancora una volta il primo passo della crescita avviene nel grembo femminile: per riconoscere la luce è necessario conoscere l’oscurità, sapersi muovere agevolmente tra le ombre. Forse le torri rappresentano le porte attraverso cui l’apprendista Mago uscirà dai mondi oscuri in cui era penetrato attraverso la Morte, ad attenderlo, oltre il limite, ci sarà l’astro diurno.

Il Sole

L’Arcano diciannove accoglie il viaggiatore nei mondi della luce, dell’intelligenza cosmica, della fratellanza universale. Due bambini, forse gemelli, stanno in piedi davanti a un muro, illuminati dal sole da cui partono sedici raggi e piovono altrettante gocce colorate a forma di lacrime. La luce della conoscenza dissipa ogni ombra, è tempo di riconoscersi, di affrontare il futuro e la nuova vita che i due bambini simboleggiano. Soltanto un ultimo ostacolo separa il viaggiatore dalla meta, superando il muro che si innalza sulla strada egli potrà raggiungere il suo obiettivo.

Il Sole, inviando i suoi raggi, esprime un amplesso cosmico che avrà il risultato di fecondare la Terra. È inutile elencare le tradizioni in cui il Sole appare come divinità suprema, come figlio del dio, come padre universale; è più interessante focalizzare l’attenzione sui due fanciulli.

Il motivo dei Gemelli Cosmici è diffuso in molti miti e assume due differenti rappresentazioni. In un caso essi personificano gli aspetti opposti dell’unità: giorno e notte, estate e inverno, cielo e terra; in queste raffigurazioni, spesso risultano essere uno buono e l’altro cattivo. Quando i Gemelli simboleggiano le opposizioni interne dell’essere umano, essi evidenziano la lotta che questi deve sostenere per conquistare l’equilibrio: una parte deve soccombere affinché l’altra possa trionfare. Nel caso del diciannovesimo Arcano invece, ci troviamo di fronte alla seconda rappresentazione dei Gemelli Cosmici; in questo caso, essi esprimono l’unità di una dualità equilibrata, l’armonia interiore, il superamento del dualismo oppositivo: anche il maschile ha costituito il suo Tao, l’Imperatore ed il Grande Sacerdote si sono riuniti in cielo.

Gli Eroi Gemelli guidano l’umanità, proteggono dai pericoli, sconfiggono i mostri. Ancora una volta il femminile espresso dalla Luna, precede il maschile simboleggiato dal Sole; la sequenza Grande Sacerdotessa, Imperatrice, Imperatore e Grande Sacerdote, è riproposta in termini cosmici. Il percorso iniziatico pare concluso, ma non è così.

Il muro rappresenta il limite che può fermare il viaggiatore della Conoscenza, anche la luce può essere una trappola in cui perdersi, affascinati dai bagliori della bellezza e dell’intelligenza.

Il Giudizio

A questo punto del viaggio, il rischio è di non ritornare sulla terra, diventando anzitempo abitanti dell’Altro Mondo.

Per questo motivo un angelo fa risuonare la sua tromba celeste: è l’Arcano numero venti: il Giudizio.

L’Angelo che sovrasta la scena è avvolto da una nube da cui escono raggi luminosi. Dai sepolcri sottostanti sorgono i corpi di tre resuscitati in atteggiamento di preghiera. È il momento della redenzione finale, lo spirito del viaggiatore della Conoscenza si libera da tutti i restanti legami e volge le spalle a un passato di oscurità, egli è diventato un Mago. Dopo essersi confrontato con l’ombra, accoglie il sé e il mondo, è diventato responsabile della propria esistenza, consapevole della sincronicità dell’universo, capace di gioire della vita in ogni sua espressione. La donna a sinistra e l’uomo a destra, sono la raffigurazione dei due principi che sono pronti a ricongiungersi nella terza figura centrale e vista di spalle. È facile individuare in questo personaggio centrale, che fuoriesce nudo dalla sua tomba, il Bagatto-Innamorato-Carro-Appeso, che dopo aver superato numerose prove, essere sceso agli inferi ed aver incontrato le dimensioni celesti; è finalmente pronto a ricevere il Magistero.

Il Mondo

È proprio il Mondo, l’Arcano ventuno, che ora appare all’eroe. All’interno di una ghirlanda ovale danza un androgino nudo ricoperto parzialmente da un velo, nella mano tiene una bacchetta; ai quattro angoli della tavola compaiono: un angelo, un’aquila, un leone e un toro, simboli dei quattro evangelisti, delle quattro direzioni, dei quattro elementi, dei quattro livelli della consapevolezza.

Il Bagatto è diventato un Mago illuminato, un uomo o una donna di conoscenza, ha concluso il viaggio raggiungendo il centro della ruota cosmica e ponendosi al di fuori del vortice che essa genera. Tutto è ricomposto, tutto è concluso, il viaggiatore della Conoscenza contempla l’universo e se stesso centro dell’universo; questa volta però non vi è desiderio di onnipotenza oppure orgoglio: soltanto consapevolezza. Il Mago è il centro dell’universo, ma ogni essere è il centro del creato: lo sono i pianeti, le stelle, gli infiniti mondi del macro e del microcosmo; da quel centro il Mago può finalmente scegliere in modo libero e consapevole. Il Mago si trova al crocevia dei mondi, tutte le strade sono aperte, tutte possono essere percorse.

La fine coincide con l’inizio, il Mago può finalmente abbandonarsi ad una follia consapevole rincontrando il Matto, la follia di Francesco giullare di Dio, la follia dei saggi e degli illuminati che schiude le porte di un nuovo viaggio lungo la spirale infinita dell’eternità.

APPROFONDIMENTI:
La storia dei Tarocchi
Il Cerchio dei Tarocchi

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